La coperta
venne strappata con violenza e gettata a terra. Nel chiarore abbagliante di una
candela troppo vicina, Luscinia si trovò come nuda, esposta senza l'oscurità apatica
che la ingoiava.
Batté le
palpebre, confusa.
«Alzati!»
La visuale si schiarì, mentre le tende del
baldacchino venivano scostate. La stanza era fredda, ma una fiamma
scoppiettante era già stata attizzata nel grande camino.
«Alzati: ora.» ripeté Alexandra Madrigala
Eliotropos che, di fianco al letto, torreggiava sulla ragazza ancora distesa.
Il suo non era il tono di chi concede di discutere una richiesta.
La dama nera, fedele al nome, scintillava in un
abito dal corpetto aderente, di velluto e pizzi scuri quanto la notte, e
cosparsi di brillanti che rifrangevano - moltiplicandola in centinaia di
riflessi - la luce della candela. La chioma, scendendo in ciocche arricciate
attorno al volto bellissimo, era raccolta da una rete di pietre nere. I
gioielli che le adornavano collo e orecchie erano di lucida ossidiana.
L’Ewrèd era furente.
Afferrò Luscinia per un braccio e, dimostrando una
forza insospettata, la sollevò come una bambola, trascinandola oltre il bordo
del letto.
Sconvolta, la ragazza rimase rannicchiata a battere
i denti.
«Imlàdrys, voglio un bagno caldo pronto entro
mezz'ora: manda Piramo a prendere catino e paravento» ordinò, imperiosa,
l'Erede di Eterna, senza degnarla di uno sguardo.
«Modesta, vai nel mio guardaroba e prendi la veste
avorio nel ripiano alto, le scarpe del terzo cassetto e le sottane di trina e
seta. Muoviti, ragazza inutile! Di corsa! Quando torni fai in modo di prendere
dalle cucine qualcosa di fresco... questo cibo vecchio di ore puzza. Dì a Vidèo
di darti qualcosa di leggero e sostanzioso!»
Mentre tutti scattavano agli ordini, come se le
parole di Alexandra fossero scudisciate, la donna tornò a concentrarsi su
Luscinia, guardandola dall'alto in basso con espressione disgustata.
«Ai tuoi capelli e a come acconciarli penserò dopo»
valutò.
Senza sapere bene perché, la ragazza si fece
piccola su se stessa, schiacciata dallo sguardo e dal carisma della dama nera
e, istintivamente, la sua mano corse a stringere l'örhègan di Èlberis.
Con rabbia fulminea, Alexandra glielo sottrasse.
Afferrata la giovane per la gola, la schiacciò in
modo impietoso sul letto.
Luscinia sgranò gli occhi e ansimò di terrore, ma
non mosse un muscolo.
La voce bassa, sprezzante della donna la paralizzò.
«Fino a quando hai intenzione di piangere e
tremare, Raya? È questo che sei in realtà? Una donnetta tutta lacrime e
sospiri? Una invertebrata figlia di un mondo lontano fatto di vigliacchi?»
Luscinia annaspò.
Lei le lasciò la gola. Sorrise, come una serpe
pronta al morso.
«Vuoi morire? Rifiuti la mia ospitalità, il mio
cibo e la mia compagnia perché non li ritieni degni di te, del ricordo del tuo
defunto principe elfico che ti teneva chiusa nella torre?»
Luscinia strisciò di schiena per allontanarsi. Il
cuore le batteva così forte da sfondarle i timpani.
«Se è solo la morte che cerchi...» riprese la dama
nera, impugnando l'örhègan «... basta chiedere: sarai subito accontentata. Ma
se sono gli altri capricci i motivi che ti spingono a questo disgustoso
comportamento, sappi che ho conosciuto bestie meno ingrate di te. Ora decidi:
bagno e abiti per partecipare al ballo di stasera... o questa?»
Il braccio sottile di Alexandra fu talmente rapido
a estrarre la spada dal fodero, che Luscinia si ritrovò il filo tagliente a un
soffio dalla gola nell'attimo di un respiro. Il riflesso cangiante della lama
era sporcato da un alone grigio acciaio.
In quel preciso istante, Piramo entrò nella stanza,
seguito da un codazzo di servi, trasportando il necessario per le abluzioni,
mentre Modesta - dietro di loro - traballava nel tentativo di conciliare il
vassoio del cibo su un braccio, e gli abiti da sera inguainati in una fodera di
cotone sull'altro.
Imlàdrys, giunta per ultima, cercò lo sguardo della
padrona in attesa di un suo cenno. Ma l'Erede di Eterna fissava Luscinia dritta
negli occhi, e non sembrava intenzionata a lasciarla andare.
Soggiogata, la ragazza di Raya deglutì.
«Come volete voi, mia signora...»
Fu un sussurro, ma bastò a convincere l'altra ad
abbassare l'arma.
Splendida nella veste nera, Alexandra gettò
l'örhègan verso Luscinia, con disprezzo.
«Un'altra bestia ammaestrata».
Strinse e aprì la mano con cui aveva impugnato
l'elsa candida: la pelle del palmo e delle dita era scottata. Con l'altra si
riassettò i ricci e la collana; i grani di pietra nera tintinnarono.
«Hai talmente paura da non riuscire neppure a
odiarmi. Avrai mai il coraggio delle tue azioni, o aspetterai sempre di essere
condotta al guinzaglio, Raya? Ma quale Alfiere Bianco dell'Imperatrice! Tu sei
un giocattolo con cui molti si sono trastullati per ottenere i propri scopi.
Poverina! Non è forse stato così anche con Èlberis? Lo svago del Protettore:
quell'individuo aveva gusti strani... Ora che lui non c'è più, chi ti
difenderà?»
Luscinia non proferì parola, non sbatté le
palpebre, smise persino di respirare: nel bianco ovattato del suo dolore, della
sua fuga da tutto, qualcosa si incrinò. Una scintilla cambiò la direzione del
percorso in discesa a cui la sua anima, ormai, si era abbandonata da giorni, e
quel qualcosa, dentro, soffocato tra le ombre che le divoravano il
cuore, udì le parole della dama nera e reagì alla loro provocazione.
La rabbia.
Bastò
quella presenza perché lo sguardo della ragazza, da vuoto, tornasse vivo.
Bastò
quello, perché Alexandra Madrigala Eliotropos si ritraesse, soddisfatta, facendo
cenno ai servi di disporre ogni cosa per il meglio.
(cit. "Il principe del Drago" di Chiara Piunno)
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